domenica 2 febbraio 2014

Alla scoperta dei profumi: come scegliere, indossare e vivere un'esperienza olfattiva che lascia il senso

Elena Porcelli, giornalista free lance, ha una passione per i profumi che ricorda –ovviamente in positivo, per l’intensità non per la patologia- l’ossessione di Jean-Baptiste Grenouille il protagonista del famoso romanzo di Patrick Suskind.
Il suo blog, simpaticamente intitolato Eau de Purcel, è una delle pagine più accurate e intriganti sulla storia, l’uso, l’abuso, la vivacità dei profumi.
A lei abbiamo chiesto di aiutarci ad entrare in questo mondo.



Per tradizione i profumi parlano francese, italiano, inglese è ancora così? I profumi del 2014 nascono ancora in confini ristretti?
I grandi marchi internazionali sono quasi tutti europei o statunitensi, ma stanno emergendo nuovi produttori di altri paesi. Per esempio la linea Fueguia 1883, che viene dall'Argentina, Amouage, di proprietà del sultano dell'Oman, Arabian Oud, un marchio mediorientale non ancora arrivato in Italia, che però ha aperto negozi sugli Champs-Élysées a Parigi e in Oxford Street a Londra.

Quali sono le caratteristiche che distinguono un profumo francese, da un italiano e da un inglese?
Di fatto, è impossibile riconoscere la “nazionalità” di un profumo, il linguaggio degli odori è il più internazionale che esista. In realtà il profumo è globalizzato per natura, perché le materie prime vengono da tutto il mondo, almeno da quando Alessandro Magno ha introdotto nella profumeria mediterranea le spezie portate dall'India. Il soffitto dell'Officina Profumo-Farmaceutica di Santa Maria Novella, a Firenze, fondata nel 1612 è affrescato con le allegorie dei Quattro Continenti, perché già allora usavano essenze di tutto il mondo, dall'iris coltivato in loco alla vaniglia proveniente dal Messico. La profumeria “francese” è stata fondata da un italiano, René Le Florentin, profumiere (e avvelenatore) al seguito di Caterina De' Medici, mentre l'acqua di Colonia è stata creata dall'italiano, emigrato in Germania, Giovanni Paolo Feminis, nel Settecento. Oggi, poi, i profumi dei grandi marchi internazionali, come Givenchy o Dolce e Gabbana, sono distribuiti in tutto il mondo, per cui debbbono adattarsi a gusti diversissimi e spesso una fragranza, con un'immagine francesissima o italianissima, è prodotta da un'azienda svizzera come Firmenich o americana come IFF.

Gli appassionati di profumi affermano che le fragranze devono essere definite vere e proprie opere d’arte. Perché dovremmo? Cosa da loro la caratteristica di opera artistica?
Perché non dovremmo? Perché la creatività che si esprime attraverso gli odori dovrebbe essere, a priori, meno interessante e significativa di quella che si esprime con i suoni, i colori, le forme o le parole? Detto questo, non tutti i profumi sono opere d'arte. Alcuni nascono semplicemente come prodotti commerciali e sono “arte” quanto una canzonetta da discoteca . Altri, però sono frutto di una vera ricerca estetica. Tutto dipende dal rapporto tra l'artista, cioè il profumiere e il committente, cioè l'ideatore della linea. Ci sono committenti illuminati, per esempio Majda Bekkali, che ha chiesto a Cecile Zarokian di creare un profumo per comunicare l'idea di “rosso” a una persona non vedente. Ne è uscito il capolavoro Mon Nom Est Rouge. E ci sono profumieri come Meo Fusciuni, Orazio Pregoni di O' Driu, Andy Tauer, Giovanni Sammarco e altri che, per non assoggettarsi a un committente, producono in proprio. Hilde Soliani, addirittura, non va d'accordo neppure con la maggioranza dei proprietari delle profumerie, in pratica l'equivalente dei galleristi d'arte, per cui le sue creazioni sono difficilissime da trovare. Ma ne vale la pena.

Si dice che ogni profumo racconti una storia. Sei d’accordo?
Quasi tutti i profumi nascono da un “brief” cioè un'idea che il committente dà al profumiere. Non sempre è una storia, a volte è puro marketing, per esempio un profumo per i fan di una celebrità. Silvio Levi, ideatore delle fragranze Calè, le definisce “poesie”. Più che “storie”, sono impressioni, momenti, per esempio un temporale nel deserto del Nevada, da cui sono nati due fragranze diversissime, Fulgor di Mark Buxton e Roboris di Maurizio Cerizza. Memo Paris è una linea tutta di luoghi,come Lalibela, un santuario copto in Etiopia, Irish Leather un cavallo nella brughiera irlandese. Mona Di Orio, una grande profumiera scomparsa prematuramente, ha cercato la perfezione di ciascuna essenza, ispirandosi al concetto, mutuato dalle arti visive, di sezione aurea.

Tra gli appassionati di profumo c’è spesso la contrapposizione tra profumo di nicchia e commerciale; questa differenza è ancora necessaria? E cosa differenzia i due prodotti ? C’è un meglio a priori?
La differenza tra “nicchia” e “commerciale”, di per sé, è solo nella distribuzione. I “commerciali” sono il più possibile diffusi e reclamizzati sui mezzi di comunicazione di massa, la “nicchia” è distribuita in un numero limitato di punti vendita. Di norma, la nicchia investe meno in pubblicità e di più nel prodotto. Ma questo non è garanzia di qualità. Ci sono linee destinate, per esempio, ai nuovi ricchi dei paesi emergenti, che si distinguono solo per i prezzi assurdi. E ci sono profumieri che, pur lavorando anche per marchi commerciali creano opere notevoli, per esempio Francis Kurkdjian, autore di Le Male per Jean Paul Gaultier, che ha rivoluzionato i profumi per uomo e di For Her di Narciso Rodriguez, uno dei più bei femminili in circolazione.

Da cosa si riconosce un buon profumo? Buono è semplicemente ciò che dà piacere. Se un profumo piace, possibilmente non solo a chi lo indossa, ma anche a chi gli sta intorno, è buono. “Bello” è una faccenda un po' più complicata, come dimostrano i fiumi d'inchiostro versati sull'estetica dai più grandi filosofi. Un profumo “bello” deve comunicare qualcosa, non necessariamente una storia, ma almeno un'emozione, deve avere un'armonia compositiva, insomma, deve valere la pena di annusarlo un'altra volta.

Non tutto va bene a tutti: come scegliere la propria fragranza?
Il profumo è un'opera d'arte che va indossata e vissuta. Cambia moltissimo sulla pelle. Bisogna tenerlo addosso per almeno sei ore, possibilmente più a lungo e vedere come evolve, come ci fa sentire e cosa comunica alle persone che incontriamo. Indossare un profumo che non “sentiamo” e che non ci fa sentire “noi stessi”, solo perché è di moda o vogliamo comunicare un'immagine di noi che non corrisponde alla realtà, mette a disagio noi e chi abbiamo accanto, anche solo a livello inconscio.

Esiste una netta distinzione tra profumo da donna e quello da uomo?
Il concetto di “pour homme”, e di conseguenza di “pour femme” è stato creato dai profumieri francesi della fine dell'Ottocento, quando si è capito che il profumo non aveva particolari proprietà salutari, come si era creduto fino alla scoperta dei batteri, e quindi, è stato considerato un semplice cosmetico. A quel punto, temevano che gli uomini smettessero di usarlo, per paura di venir considerati effemminati e si sono inventati “il maschile”. In Oriente, dove il problema non si è mai posto, gli uomini usano tranquillamente essenze “femminili”. Se dicessimo a un indiano che il suo gelsomino sambac è “da donna” o a un emiro arabo che la sua rosa di Taif è femminile, ci guarderebbe parecchio strano. Come minimo. Io uso spesso Vetiver di Guerlain e nessuno si è mai accorto che sarebbe “da uomo”. E molti uomini usano Feminitè du Bois di Serge Lutens, perché amano il legno di cedro, anche se il nome li mette un po' in imbarazzo.

Alcuni adottano una fragranza e le rimangono fedeli tutta la vita, altri sono più volubili e cambiano spesso cosa è meglio? Non c'è un “meglio”. L'importante è sentirsi bene con quello che si indossa in quel momento. Chi cambia spesso deve stare attento a mettere il profumo solo sulla pelle, per non contaminare i vestiti, creando strani miscugli. Ci usa sempre lo stesso, è bene che si faccia annusare dagli amici: il naso si abitua agli odori e si rischia di metterne troppo, perché non lo si sente più. Una celebre cantante italiana usa Fracas da trent'anni e, a un evento, ho avvertito la sua presenza dal piano di sotto.

Esistono parti del corpo in cui è meglio mettere il profumo, per valorizzarlo?
Ci sono diverse scuole di pensiero. Io lo metto soprattutto sul collo e sulla sciarpa, per sentirlo meglio e proteggermi dalle puzze della città e lascio liberi i polsi, in caso debba provarne altri. Il mio amico Chandler Burr di metterlo sul collo, se si ha un appuntamento galante, perché il profumo ha un sapore tremendo e raccomanda ddi spruzzarlo invece sulla camicia, prima di indossarla. C'è chi lo nebulizza nell'aria e poi entra “nella nuvola” e chi,o mette dove le vene sono in superficie (collo, polsi, dietro le ginocchia) perché il calore lo diffonde meglio.

Negli ultimi anni, molti creatori sono usciti allo scoperto. Da personaggi sconosciuti nascosti nei laboratori sono diventati quasi delle star. Rilasciano interviste, partecipano a conferenze, compaiono in shooting di moda e in televisione… una volta non era così. Pensa che questa spettacolarizzazione creata dai media sia utile al mercato oppure tolga fascino e mistero attorno alla figura del naso?
Io credo che sia un'ottima cosa. Almeno, la gente si rende conto che gli stilisti e le celebrità, nella stragrande maggioranza dei casi, non hanno nulla a che fare con il profumo che porta il loro nome. È bene che il consumatore abbia più informazioni possibile sul prodotto che acquista.

Che cosa pensa del marketing olfattivo?
La tendenza a diffondere profumi specifici nei negozi dei brand (Abercrombie ad es.) negli hotel…. Onestamente, tutto il male possibile. In particolare, Abercrombie, che invade con Fierce un intero isolato, dovrebbe essere multato per occupazione abusiva di spazio pubblico. È un peccato, perché ho amato Fierce, quando ancora non era arrivato in Italia e lo indossava un mio collega, che ha la personalità perfetta per quel profumo, una mascolinità cordiale e semplice, da boy scout. Il marketing olfattivo, nei negozi, serve a convincere il consumatore che si sta comprando un'atmosofera e non un oggetto che, una volta portato nella sua vita reale, probabilmente lo deluderà. Lo tollero di più negli hotel e nei locali, dove l'atmosfera è parte essenziale dell'esperienza che uno acquista.

Parlando di profumi, qual è la sua madeleine proustiana?
Ne ho tante, perché moltissimi odori mi fanno rivivere esperienze importanti, per esempio l'incenso. Direi Amazone di Maurice Maurin per Hermès, il primo profumo che ho amato. I miei genitori me ne diedero un campionicino da annusare in automobile, perché la soffrivo moltissimo. È stato così che ho scoperto il potere degli odori, quanto possono consolare e dare felicità.

Un profumo da regalare, secondo lei, che caratteristiche deve avere?
Dev'essere quello giusto per la persona. In pratica, o lo usa e lo ama già, o è meglio lasciar perdere. Se proprio non si hanno altre idee, è bene tenersi lo scontrino e regalare anche un campionicino, così il destinatario può provare quello e cambiare la confenzione intatta con qualcosa di più adatto.

Un profumo senza il quale il mondo sarebbe meno bello?

Anche in questo caso ce ne sono molti, per esempio i due che hanno dato origine a delle famiglie olfattive, cioé a dei generi di profumo mai esistiti prima. Uno è Fougère Royale, creato da Francois Houbigant nel 1882, cercando di immaginare il profumo della felce, che in realtà non ha odore, e Chypre, di Francois Coty, 1917, ispirato alla macchia mediterranea. Entrambi non sono più in commercio, almeno nella formulazione originaria, ma hanno ispirato generazioni di fragranze successive. La figlia più famosa della famiglia chypre, per esempio, è Mitsouko di Guerlain. E poi c'è Joy, di Jean Patou. Il grande couturier l'ha creato e regalato alle clienti che, a causa della crisi del 1929 non potevano più permettersi i suoi abiti. Credo che in questo momento storico, sia bello ricordare quello scatto di creatività e generosità. Forse è quello che ci serve per uscire dalla crisi.

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